Ci sono momenti nella storia dell’umanità che segnano un cambio di passo. Radicale, di trasformazione totale. Magari all’apparenza piccoli e poco significativi, se visti slegati dal loro contesto, ma assolutamente rivoluzionari se inquadrati con una visione allargata.

La ruota, di per se stessa, non è stata una grande rivoluzione quando è stata realizzata per la prima volta. Con tutta probabilità le prime ruote non erano nemmeno state capite fino in fondo. C’è voluto del tempo perché quell’invenzione prendesse piede e trasformasse le abitudini a livello collettivo. E c’è voluto ancora più tempo perché diventasse uno degli elementi cardine di tutto il progresso dell’umanità.

Pensa oggi come sarebbe il mondo se non avessimo la ruota. Oppure lo zero nella nostra numerazione.  O le leghe metalliche. E così via.

Allo stesso modo, ad un certo punto del ventesimo secolo, verso la fine, incominciano a succedere piccoli ma sostanziosi eventi che trasformano, un passo per volta, le nostre micro abitudini quotidiane. Da un certo momento in poi, telefonare a qualcuno non è stato più la stessa cosa. Da quel momento una incessante produzione di innovazioni, prima di tutto tecnologiche, ha cominciato a innescare delle reazioni a catena che non si sono più fermate.

Quelle innovazioni, che oggi chiamiamo smartphone, tablet, tv on demand, social network, domotica, intelligenza artificiale e molto altro ancora, nel giro di pochissimi anni hanno trasformato non solo i singoli ambiti della nostra vita ma anche la sociologia del nostro ecosistema globale.

Questa trasformazione ha spostato anche le metriche fondamentali e i kpi dei mercati che, da “prodotto centrici”, si sono dovuti plasmare attorno ad un nuovo potentissimo, sebbene sconosciuto, soggetto: il cliente.

Il cliente dell’era digitale è il cliente che ha destrutturato l’era digitale facendola diventare “l’era del cliente”. Non è un gioco di parole per confonderti, ma lo stato dei fatti.

Il digitale non è stata la rivoluzione principale, ma lo strumento per creare un’altra destrutturazione di paradigmi: dal costruire prodotti e servizi per venderli ai consumatori, oggi si creano prodotti e servizi su misura del consumatore.

L’enorme quantità di dati che abbiamo a disposizione rispetto agli interessi del nostro cliente (sia esso B2C o B2B, non fa alcuna differenza, oggi) forza le aziende nella posizione di non poter più ignorare aspetti fino a ieri considerati marginali.

La customer experience è un valore primario, misurabile, che preoccupa molti reparti marketing e vendite. Il rating soggettivo è diventato un “must” al quale non si può rinunciare per capire se la nostra “app” o il nostro servizio web è all’altezza delle aspettative del cliente/utente. Non le nostre, le sue. La misurazione del “sentiment” è uno dei kpi che mai nella storia sono entrati ufficialmente a far parte degli indicatori che contribuiscono a creare un bilancio aziendale. La reputazione è sempre stato una questione di “soft skills” personale, oggi invece si misura in termini quantitativi.

Tutto questo è possibile grazie ad una rivoluzione che ha spostato il peso del controllo sull’utente/cliente.

Questa consapevolezza ha ora un enorme impatto su tutta la filiera produttiva, distributiva e comunicativa dei prodotti e servizi che proponiamo al mercato. Dalla micro impresa alla multinazionale.

Eppure, nonostante questa evidenza, le aziende (di ogni dimensione) faticano a reggere il passo.

Il cliente è veloce come una lepre e si sposta con un’automobile elettrica o ibrida, mentre la grande azienda è ancora troppo lenta perché gira con la 313 di Paperino.

Emergono molto velocemente i piccoli Mark Zuckemberg (fondatore di Facebook) che hanno braccia e gambe libere per correre veloce (fino ad un certo punto). Oppure gente come Jan Koum (fondatore di Whatsapp).  Idem per i Garret Camp della situazione (fondatore di Uber). E potremmo andare avanti citando almeno altri 40 nomi di perfetti sconosciuti che hanno cambiato l’economia cavalcando i nuovi paradigmi digitali “customer-centric”.

Ma se ho sempre prodotto bulloni, valvole o servizi ospedalieri, come tutto questo può avere a che fare con me?

La risposta ancora una volta non la diamo noi, ma la da il mercato: occorre saper creare nuovi modelli di business all’interno dei propri schemi tradizionali.

Se una cosa ci ha insegnato questo ultimo decennio è che non è fondamentale inventare qualcosa di “nuovo”, è però importante saper declinare in modo nuovo prodotti e servizi che abbiamo già. Dobbiamo lavorare su tutto ciò che gira intorno al nostro vecchio sistema di produzione, distribuzione e comunicazione.

E’ un nuovo progetto?
Non esattamente, semmai è un nuovo scopo, una necessità. In alcuni casi un’urgenza.

Dipende se ci si muove con l’auto ibrida o con la 313.